Autore: Avv. Ivana Consolo.

I. COSA FARE IN CASO DI MALASANITÀ?

Si propone un’utile ed interessante panoramica su ciò che può definirsi un autentico vulnus alla Società Civile: malasanità. L’articolo intende soffermarsi essenzialmente sugli aspetti pratici; in buona sostanza si offre in lettura una sorta di “mini guida” per tutti coloro che, direttamente o indirettamente, si ritrovano a doversi confrontare con spiacevoli ed incresciosi casi di errore medico.

II.QUANDO SI È IN PRESENZA DI UN EPISODIO DI MALASANITÀ?

Preliminarmente, appare opportuno capire quando un paziente può ritrovarsi a dover fare i conti con un caso di malasanità.

Ebbene, ogniqualvolta non si raggiunga il risultato prefissato a causa di una diagnosi sbagliata, di una terapia inadeguata, di un intervento chirurgico errato, si incorre in errore medico, evento che può produrre un danno alla salute del paziente in termini di morte o lesioni. L’errore medico può dipendere dalla diretta e personale prestazione professionale del Sanitario, oppure dalla carente organizzazione della Struttura Ospedaliera.

Fattori in grado di produrre l’errore personale del Sanitario sono: negligenza, imprudenza, imperizia.

Si ha negligenza quando si arreca un danno alla salute del paziente per l’effetto del mancato ricorso all’accortezza ed all’attenzione necessarie e normalmente richieste ad un Medico (esemplificando: la classica garza dimenticata nel ventre del paziente dopo un’operazione).

L’imprudenza, invece, consiste nella mancata adozione di ogni misura necessaria (esemplificando: il Medico che opera senza avere preventivamente effettuato tutti gli accertamenti clinici del caso).

L’imperizia, infine, è la scarsa competenza professionale del Sanitario.

L’errore medico che deriva, invece, dalla carente o inadeguata organizzazione della Struttura Ospedaliera, è ipotesi che esula dalla persona del singolo Medico, attenendo invece alla Struttura in quanto tale che, evidentemente, non presenta tutti quegli elementi atti a garantire la sicurezza al paziente. Se in un Ospedale mancano i defibrillatori, oppure non vi è il gruppo elettrogeno che garantisce la costante presenza di corrente elettrica in sala operatoria, o per alimentare le macchine cui sono collegati i pazienti più gravi, gli eventi spiacevoli che possono derivare agli ammalati dipendono proprio da carenze o inadeguatezze strutturali/organizzative dell’Ospedale.

Quando un paziente si ritrova a dover fare i conti con una delle circostanze che abbiamo sin qui illustrato, si imbatte purtroppo in un caso di malasanità, che può comportare l’evento morte oppure la produzione di lesioni personali.

III. COSA FARE SE L’ERRORE MEDICO CAGIONA LA MORTE DEL PAZIENTE O PRODUCE LESIONI PERSONALI?

La prima cosa che bisogna fare nel caso in cui un episodio di malasanità dovesse produrre la morte del paziente, è sporgere una denuncia.
Difatti, siamo dinanzi ad un’ipotesi di omicidio colposo, che rientra nell’ambito dei cosiddetti reati perseguibili d’ufficio. In senso tecnico, la denuncia rappresenta esattamente l’atto con cui un privato cittadino porta semplicemente a conoscenza dell’Autorità competente la notizia del compimento di tali tipologie di reati.

Esistono due modi di sporgere denuncia: in forma scritta ed in forma orale.


Nel primo caso, l’atto deve essere scritto e sottoscritto dal denunciante o da un suo procuratore legale; nel secondo caso, invece, la competente Autorità raccoglie la denuncia sporta oralmente, redigendo poi apposito verbale. Le Autorità competenti a ricevere la denuncia (sia scritta che orale) sono il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria. Per la denuncia proveniente da privati cittadini non sono previsti contenuti formali tipici; il denunciante può quindi limitarsi alla sola e semplice esposizione dei fatti.

Nel caso in cui l’errore medico provochi lesioni personali colpose in capo al paziente, si è nell’ambito dei cosiddetti reati non perseguibili d’ufficio.
In questo caso, la persona offesa dal reato o il suo legale rappresentante, devono procedere con querela di parte, facendo quindi espressa richiesta di punizione contro il colpevole del fatto previsto dalla legge come reato.

La querela, dunque, ha una duplice funzione: informazione circa la verosimile commissione di un reato e condizione di procedibilità.

Quando un soggetto ritiene di essere vittima di malasanità, sia che agisca con denuncia, sia che proceda a querela, deve osservare alcuni passaggi fondamentali:

  • –  individuare ed indicare un luogo ove si intendono ricevere le notificazioni;
  • –  chiedere di essere avvisato in caso di archiviazione, principalmente al fine di poter essere in condizione di fare opposizione;
  • –  opporsi all’eventuale definizione del procedimento con decreto penale di condanna;
  • –  nominare un proprio Avvocato di fiducia.

Particolare attenzione occorre poi prestare alla tempistica con cui agire.
In caso di denuncia (quindi in caso di omicidio colposo) non vi sono termini da rispettare; l’unica cosa a cui occorre fare bene attenzione è il termine di prescrizione del reato (6 anni). Quanto invece alla querela (quindi in presenza di lesioni personali colpose), essa andrà

tassativamente presentata entro 3 mesi dal giorno in cui si ha avuto notizia del fatto di reato.

IV. COSA FARE SE SI INTENDE AGIRE IN SEDE CIVILE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO?

Preliminarmente, occorre individuare tutte le ipotesi di responsabilità che il paziente può

far valere.
Si possono individuare almeno 3 ipotesi:

  • –  la responsabilità della Struttura Sanitaria (sia pubblica che privata);
  • –  la responsabilità del Medico scelto direttamente dal paziente;

– la responsabilità del Medico non scelto dal paziente;

Le prime due ipotesi di responsabilità hanno natura contrattuale; si dà infatti per acquisito che tra le parti (Struttura/paziente oppure Medico/paziente) si sia instaurato un vero e proprio rapporto contrattale, con tutto ciò che ne deriva in termini di obblighi reciproci,

affidamento reciproco, lealtà, buona fede, conseguenze derivanti dal mancato o non corretto adempimento. Pertanto, il diritto al risarcimento del danno può essere esercitato entro il termine ordinario di 10 anni.


La terza ipotesi di responsabilità, ha invece natura extracontrattuale, dunque l’eventuale

azionecivileneiconfrontidelSanitariosiprescrivein 5 anni.

Un’ulteriore attenzione va posta poi al caso in cui il paziente sia deceduto a causa dell’errore medico.

Difatti, qui saranno i suoi più stretti congiunti a poter far valere il diritto al risarcimento del danno.


Se i familiari agiscono in qualità di eredi, facendo cioè valere i diritti che avrebbe potuto far valere il de cuius vittima di malasanità, il diritto si prescrive in 10 anni.
Se invece agiscono a titolo personale, quindi al fine di far valere un proprio personale danno

– il cosiddetto danno da perdita del rapporto parentale – il diritto si prescrive in 5 anni . In questo caso specifico bisogna però osservare quanto segue: il reato di omicidio colposo si prescrive in 6 anni e l’Ordinamento prevede che, questo maggior termine, debba essere applicato anche all’azione civile, che quindi si prescriverà dopo 6 anni anziché dopo 5.

Ma da quando iniziano a decorrere i termini di cui abbiamo sin qui parlato?

Ebbene, il termine di prescrizione non inizia a decorrere a partire dall’evento avverso, ma dal tempo (che può anche essere di molto posteriore) in cui il danneggiato ne abbia avuto piena e completa percezione; ovvero da quando ha potuto disporre di tutti i dati/informazioni necessari per determinarsi ad agire.


La prescrizione può essere interrotta. Basta difatti redigere una lettera di diffida e messa in mora ed inoltrarla alla Struttura Sanitaria o al Medico. L’interruzione ha l’effetto di far decorrere un nuovo periodo di prescrizione.

A questo punto, dopo aver chiarito che si può agire in sede civile per chiedere il risarcimento

del danno, occorre richiamare l’attenzione su di un aspetto per nulla affatto trascurabile: l’obbligo di mediazione.

Ebbene sì, una volta che il danneggiato decide di agire per far valere i propri diritti, deve sapere che non può immediatamente rivolgersi al Tribunale, ma deve preventivamente ed obbligatoriamente (pena l’improcedibilità della causa) avviare un tentativo di mediazione.

Ciò significa che occorrerà rivolgersi ad un Organismo di Mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia, affinchè un Mediatore Professionista tenti di risolvere la questione in via stragiudiziale.

Questo tentativo può fallire o riuscire.
Se fallisce, allora si potrà andare in causa dinanzi ad un Tribunale. Se riesce, il danneggiato avrà potuto concludere in tempi alquanto rapidi la vicenda, magari accontentandosi di un risarcimento più contenuto.

La ratio della mediazione è infatti quella di deflazionare il contenzioso civile, formalizzando un accordo che sarebbe una sorta di transazione con pieno valore legale.

V.AZIONE CIVILE O AZIONE PENALE? COSA CONVIENE AL PAZIENTE VITTIMA DI MALASANITA’?

Abbiamo sin qui esaminato tutte le possibilità che l’Ordinamento Giuridico offre alla vittima di malasanità al fine di porre rimedio al grave torto subito.

A questo punto occorre fare alcune valutazioni in merito a quale sia la via più agevole da percorrere.

E’ sicuramente consigliabile gestire un sinistro per malasanità in sede civile piuttosto che presentare una denuncia, una querela, e quindi avviare l’iter penalistico.

Vediamo quali fattori dovrebbero sconsigliare la via del processo penale:

– la denuncia/querela sono attività anticipatorie dell’azione penale, che vede nel Pubblico Ministero la figura che gestisce in toto modalità e tempi, con la conseguenza che potrebbero verificarsi ritardi anche rilevanti e non controllabili.

  •  La responsabilità penale è sempre una responsabilità personale; in ambito civile è invece possibile far valere altre forme di responsabilità, che prescindono dalla stretta soggettività: un esempio per tutti è la responsabilità per difetto o carenza di organizzazione della Struttura Ospedaliera.
  •  In sede penale è assolutamente necessario che tra la condotta e l’evento vi sia un nesso causa-effetto quasi perfetto. Per arrivare alla condanna, si richiede un elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica che dalla condotta medica sia derivato il danno in capo al paziente. In sede civile, invece, è sufficiente che sia soddisfatto il più blando criterio della probabilità relativa. Di contro, vi è però da considerare la tristemente nota lunghezza dei procedimenti civili, aggravata anche dall’obbligo del preventivo passaggio attraverso la mediazione. Tuttavia, accanto all’azione civile ordinaria, esiste anche il cosiddetto ATP (Accertamento Tecnico Preventivo). Trattasi di un procedimento decisamente più agevole del processo ordinario di cognizione, che ha durata media pari ad 1 anno/2 al massimo, e che mira ad arrivare subito al punto, attraverso una perizia tecnica d’ufficio finalizzata a dimostrare o meno la sussistenza del danno alla salute, e quindi il diritto al risarcimento. Di gran lunga preferibile, e decisamente auspicabile, sarebbe il positivo esito della mediazione. Dal momento che è obbligatorio il passaggio dall’Organismo di Mediazione, tanto varrebbe fare di tutto affinchè questa transazione inter partes possa riuscire. Tempi, costi, e disagi vari, potrebbero realmente venire abbattuti.